“La parola detta”, di Stefania Di Lino, letto da Dante Maffìa

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«…tornerà presto il tempo / della parola ritrovata e detta / quando l’assenza sarà seduta / finalmente stanca / ogni parola sarà per vocazione / ogni radice terra vicinanza». In questi versi, tratti dal volume La parola detta (Milano, La vita felice, 2017), mi è sembrato di trovare la sintesi delle inquietudini, delle accensioni, degli scombussolamenti, dei sogni e delle esperienze di Stefania Di Lino, un’artista a tutto tondo, che ha avuto come maestri Pericle Fazzini, scultore tra i più eccelsi del Novecento, e Cesare Vivaldi, critico d’arte e poeta raffinatissimo. Ho conosciuto bene questi due grandi personaggi e so che avevano un carisma eccezionale, tuttavia Stefania, pur imbevendosi della loro esperienza, va oltre, fa un corpo a corpo addirittura con la beat generation (mi viene in mente soprattutto Gregory Corso), con la profondità lirica di Mario Luzi, un po’ con tutto il Novecento italiano e straniero.

Ma la strada in cui è entrata è una scelta personale che ha sfrondato le letture, le ha rese cocci di vetro su cui camminare è sconsigliabile e ha utilizzato la sua voce, anche perché ricca e possente di pensiero, di ritmo, di quella musica infernale, diabolicamente suasiva, che scevera le apparenze ed entra nell’assoluto. Addirittura lo dichiara: «porto un Dio dentro / dannato e bello / che coltiva pazientemente la mia cesura / la semina mi rende fertile / così fiorisce la mia scrittura». Insomma, siamo al cospetto di una poetessa capace di saper cogliere le fibrillazioni della natura, delle parole, dei segreti che ci sfiorano indagando «Il senso di te e di me / e l’oscura ragione / delle cose attorno».

Potrei continuare a citare e offrire, per esempio «conosco troppo bene le rotte che / conducono nei porti sbagliati», ma solo per dimostrare che nella poesia di Stefania Di Lino non c’è nulla di scontato, nulla che ricalchi stereotipi o consonanze.  Nella sua necessità espressiva c’è l’esigenza di guardare dietro le cose, o di lato, o nel profondo. Non le interessano le apparenze. In questo modo lei riesce a recepire echi di mondi lontani o spariti e riesce a portare il lettore nella dimensione auspicata da Goethe, quella lunare, da cui tutto è visibile e lo è in contemporanea.

Una poetessa autentica, Stefania, che vuole appartenere solo a se stessa.

Dante Maffìa

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