“La partita degli dei”, di Marino Bartoletti, letto da Valerio Mattei

C’è vita… “dopo”? C’è Qualcosa… “dopo”? Rivedrò i miei cari… “dopo”? Sono probabilmente le domande più gettonate in tutto il genere umano fin dagli albori della civiltà. L’idea di questo “dopo” che ci attanaglia, ci segue come la nostra ombra, che in effetti è la nostra ombra un po’ “in toto”, potremmo dire: ci scruta, ci interroga, ci fa mettere in dubbio praticamente tutto, ci fa percepire come precari, fragili, inconsistenti, e in alcuni momenti rischia di compromettere anche una piena, gioiosa fruizione dei nostri momenti migliori. Eppure, come sempre accade nella nostra dimensione duale, è proprio quest’ombra a dare ancora maggiore risalto alla luce. È proprio questo senso di incertezza a premere il tasto che rende l’essere umano capace dei suoi balzi quantici più gloriosi in termini di capacità di sviluppare fede, creatività, fantasia, percezioni sottili. La fame di conoscenza e il senso di ignoto che ci abita da sempre sono le due ali meravigliose e miracolose grazie a cui ci innalziamo sull’abisso di tutto ciò che non sappiamo, di tutto ciò che non possiamo provare, esperire sensorialmente, misurare, portare a materia di convinzione e persuasione per gli scettici. È esattamente questo abisso che dobbiamo ringraziare, per il fatto che ci costringe a catapultarci nel mondo magico delle nostre infinite potenzialità. Tutta l’arte, la filosofia, le esplorazioni mistiche del mondo immenso e insondabile che chiamiamo “Altrove”, “Aldilà”, “Cielo”, “Paradiso”, “Ottave di Luce”, ecc. sono scaturite proprio da questa incertezza, da questa nostra cecità e sordità rispetto alla dimensione dell’Insondabile.

Marino Bartoletti ha senza dubbio avvertito la stessa frustrazione lancinante del distacco e dell’impossibilità tutta umana di provare in termini razionali e cognitivamente giustificabili tutto quanto accennavo sopra. Puntualmente, infatti, il suo ultimo lavoro “La partita degli dei” (Gallucci, Roma, 2023) sorge maestoso, catartico, consolatorio come un fiume di luce, dal buio opprimente di vite che hanno dovuto sopportare difficoltà, traumi, malattie e, infine, quella che viene definita Transizione. Bartoletti, novello Dante, ottiene in qualche modo (e ne siamo tutti ben felici!) un pass, tanto per usare un termine “da evento ufficiale”, alla dimensione Altra cui accennavo sopra; lui però non la definisce con nessuno dei termini che riportavo, bensì la proietta in molte occasioni come il “Luogo”, con geniale e sornione distacco (apparente) che conferisce un che di neutro e scientifico al proprio punto di vista. Avere la possibilità di curiosare in questo “Luogo” prima del tempo è già di per sé qualcosa di straordinario. A Bartoletti, per di più, questa opportunità viene concessa non in maniera generica ma per un’occasione unica, incredibile, mozzafiato. La Partita delle partite, la Sfida delle sfide, un incontro calcistico tra innumerevoli artisti del pallone, anime e corpi che hanno regalato sogni, estasi e folli entusiasmi a masse sterminate di persone. Pelè, Best, Garrincha, Cruijff, Scirea, Facchetti, Vialli, Maradona, Rossi, Boskov, Lo Bello, Herrera, Feola, Di Bartolomei, Jašin e tanti altri nomi, tra calciatori, arbitri, allenatori che popolano la mistica carrellata di protagonisti, oltremodo noti per le infinite emozioni che hanno regalato nella dimensione fisica. Adesso (un adesso eterno e celeste ovviamente) questi Signori, uno per uno, vengono fatti chiamare direttamente presso le loro abitazioni di Luce per quello che, partito come un folle sogno, si fa via via più “concreto”, passaggio dopo passaggio (è proprio l’espressione adatta!) fino alla completa messa in atto del miracoloso incontro “SERIE A ITALIANA vs RESTO DEL MONDO”.

Anticipare di più in merito a questa vicenda sarebbe il peggiore degli spoiler, tanto più che parliamo di un match sportivo, quindi chi vorrebbe sapere in anticipo come va a finire? Non mi arrogherò pertanto questo diritto, senz’altro. Anzi tengo molto di più a sottolineare la delicatezza particolare con cui Bartoletti ha inteso tratteggiare una lunga serie di istantanee fisico-psicologiche di alcune figure ancillari, ma non per questo meno determinanti nella riuscita del suo libro. Raffaella Carrà e Gianni Minà su tutti, senza dimenticare la figura di Francangelo, che contribuisce molto a rendere leggera, brillante e amabilmente ironica la trattazione e la narrazione di un argomento senz’altro non facile da sceneggiare e da porre all’attenzione, anche di chi magari ha meno familiarità con tale genere di intuizioni. Commoventi i riferimenti, accorati ma mai pesanti né minimamente autoindulgenti, alle vite di giocatori come Borgonovo e Garrincha (solo per citarne un paio), vessate da malattie, problemi e disfunzioni di varia natura. Bartoletti riesce, come un novello Orfeo, a restituire queste vite alla Vita, alla Luce, alla dignità degli artisti dello sport che sono stati durante il passaggio terreno, per usare un’altra espressione cara a chi ha consuetudine con argomenti di sensibilità spirituale. Non a caso in più di un’occasione spunta tra le righe del suo romanzo il termine “sciamano”, che personalmente mi colpisce in modo particolare e mi trova molto allineato, avendo io stesso pubblicato un libro dal titolo appunto “Lo Sciamano” (EdiLet, Roma, 2019), anch’esso rappresentazione allegorica di un viaggio catartico in dimensione parallela. Allo stesso modo “La partita degli dei” è senz’altro un viaggio nell’Ade, benché capovolto. Bartoletti non scende infatti agli inferi ma sale direttamente all’Attico dove tutti (a prescindere dal grado di onestà intellettuale con cui ci concediamo o meno di ammetterlo, perfino a noi stessi) speriamo di abitare un giorno, sciogliendo le limitazioni imposte dalla dimensione sensoriale per librarci finalmente in un oceano di Pace, di quintessenze che profumano di Eternità, di Libertà e di una Gioia finalmente incorruttibile, incontestabile, irriducibile. Di tutto questo, Marino Bartoletti riesce a trasmetterci un gustoso, preziosissimo sentore anticipatorio, ed è impossibile non tributargli un sincero e commosso applauso di gratitudine.

Infine, “La Partita degli dei” presenta un’ulteriore, potente peculiarità. Senza dubbio, infatti, Bartoletti inventa un’avvincente affabulazione, proprio come si inventano gli assist, gli affilati passaggi filtranti (illuminanti come dicono spesso i cronisti!), tanto per restare in ambito calcistico. Un’affabulazione che sopra ho definito la “Sfida delle sfide”. Eppure chiudendo questo libro si ha la netta sensazione che l’autore abbia inteso non tanto riferirsi al confronto con gli undici schierati nell’altra metà del campo e con la sfera piena d’aria da mandare oltre la riga di gesso. Direi piuttosto che Marino Bartoletti allude in filigrana (direi quasi “con la scusa del racconto”, da consumato, abilissimo professionista della comunicazione) alla “Sfida con le sfide” di cui ogni vita umana è popolata e che alla vita umana conferiscono eroica e inconfutabile dignità. Non ultima, la Sfida tra buio e luce, tra morte e vita, tra caducità ed eternità che Bartoletti ci fa percepire (con leggerezza e sublime poesia) come in realtà già ampiamente vinte e messe in cassaforte, come nelle più classiche goleadas. In effetti è questo il goal più bello di una Partita del genere. Ogni opera d’arte è un incontro, in cui l’atleta/artista ha la possibilità di far comprendere agli esseri umani che la Vita stessa è un’unica, incredibile finale di coppa da cui usciamo tutti campioni del mondo. Di ogni Mondo possibile. Anche per questo il libro di Marino Bartoletti va salutato con ammirazione perfino più pronunciata, se possibile, da un punto di vista squisitamente umano, oltre che artistico.

Valerio Mattei

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