Plinio Perilli: “Ricordo di Willy Pocino”

Foto Willy Pocino

Lezione fondamentale della poesia è sempre il suo rapporto cardine tra il Tempo e lo Spazio. Conta la qualità, il merito, il talento sorgivo – ma contano anche ed egualmente le circostanze umane, culturali, esistenziali, che quell’evocazione lirica impennano, sublimano in un umano, troppo umano che alla fin fine giustifica, intride o addirittura sovrasta quell’evocazione, quell’illuminazione decisiva per espressività e visionarietà sapienziale. Questo è il grumo di pensiero e di riflessione estetica (anzi, realmente “sinestetica”, poliartistica) che mi torna in mente ora che una grande figura come Willy Pocino non c’è più, ci ha lasciati orfani del suo bell’eclettismo di “romanista” DOC – la morte risale all’11 agosto del ’23 – donandoci però, a futura memoria, la sua forte tempra culturale, il suo grande talento e rigore di un’inveterata e fulgida memoria della Bellezza.

Pocino, classe 1930, casertano d’origine, si trasferì bimbetto in provincia di Frosinone, quindi ben si sentì sempre di fiera origine ciociara; ma poi dagli anni ’50 l’approdo a Roma ne fece un romanista temprato ed entusiasta, innamorato Urbi et Orbi… Storico valente, rabdomante giornalista culturale, editore raffinato e vigoroso (fondò l’importante Edilazio esattamente nel 1998, per non parlare dell’ormai quasi mitica rivista mensile “Lazio ieri e oggi”, che data dal 1965), annoverò una serie cospicua e ammirevole di pubblicazioni, repertori, narrazioni, ricostruzioni d’incommensurabile grazia storiografica e, al contempo, balda, saporosa eco divagante: “I Ciociari”, “Le curiosità di Roma”, “Le curiosità del Lazio”, “Finestra su Roma”, “Le fontane di Roma”, “Roma dei Giubilei” ecc. ecc. Diverse volte – onore al merito – fu vincitore del prestigioso Premio della Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri… Ma oggi amiamo rapportarci ad un testo vasto e rapinoso come il Dizionario di curiosità romane (2010), che tuttora ci aspetta agile e temprato, giudizioso e insieme sbarazzino, con le sue 450 pagine fascinosissime di riferimenti, notizie, rimandi, rivelazioni… e la sua bella copertina con la foto in verità celeberrima della Cupola di San Pietro vista e nobilmente adocchiata (fra l’adorazione dei turisti allietati in fila) dal buco della serratura della villa dei Cavalieri di Malta… Willy Pocino è maestro e squisito artista di queste ricordanze che sempre tengono in vita, adescano… o permanentemente seducono il nostro immaginario, fra vestigia concrete e leggende apologetiche, ardui bilanci storici e impennate visionarie! Giacché la poesia vera ha proprio bisogno di questo, e il nostro amore di cittadini ma in fondo anche turisti sinestetici della nostra beneamata (talvolta anche maledetta) Città Eterna, luogo di culto e oramai anche di malessere, depositaria di miti o evocazioni pressoché ancestrali, soavi o aspri che siano.

Ci piace – divagando – riportarne taluni, qua e là, a corredo del nostro grande amore per l’arte e la storia, in culto di Poesia… Fior da fiore, raccogliamone qualcuno, testimonianza imperitura delle delizie dell’arte (e anche della Fede). Ecco che, a pag. 300, s’impone il “Piede di S. Pietro logorato da baci ‘secolari’”, nella imperiosa statua attribuita ad Arnolfo di Cambio: “La veneratissima effigie bronzea di S. Pietro si trova all’angolo destro della basilica vaticana tra la navata centrale e il transetto. È in atto benedicente e con la mano sinistra stringe al petto le chiavi. (…) Essa reca il segno evidente di una particolare venerazione: il piede destro risulta infatti assai logorato a causa del bacio reverente che nel corso dei secoli vi hanno deposto milioni di fedeli provenienti da ogni parte del mondo.” Ed ora un interessante distinguo sulla “Porta magica: segni cabalistici e formula dell’oro”. Siamo a pag. 315, e si discetta sulla famosa vestigia di Piazza Vittorio: “… ultimo avanzo di una villa che il marchese Massimiliano Palombara si fece costruire nel 1653 – è più conosciuta di tanti altri importanti monumenti romani. A che cosa è dovuta la sua notorietà? Indubbiamente al fascino che deriva dall’incognito, dal segreto, dal mistero nel quale è avvolta la sua incredibile storia. Una storia legata alla presenza di alchimisti, di maghi e di scienziati che avrebbero frequentato la villa del marchese alla ricerca della ‘pietra filosofale’ per la trasformazione dei metalli in oro.”…

Non mancano, per fortuna, gli episodi – le rifrangenze e i riscontri – più smaccatamente peccaminosi. A pag. 126, per esempio, Willy amabilmente ci illumina sulla strana, misteriosa presenza di “Donne nude nella chiesa di S. Saba”: “Sul lato sinistro si apre un ambiente… con interessanti affreschi del XIII secolo. Uno di essi raffigura tre belle donne nude in camera da letto, e fa pensare a una decorazione non adatta a un ambiente sacro. Si tratta, in realtà, di uno degli episodi della vita di S. Nicola di Bari rappresentati nella ‘navatella’: le tre fanciulle appartenevano ad una onestissina e poverissima famiglia. Ed il padre era assai preoccupato per l’avvenire delle figliole”… Ma San Nicola fece la grazia, il miracolo d’una materializzata borsa piena di monete d’oro, cospicua dote che avrebbe salvato la loro virtù. Ma in nome della poesia e dell’amore, che ne è da sempre il sensuale, laico carburante, ecco il richiamo fervido e scanzonato alla “Villa Adobrandini: nido d’amore di Casanova”… Siamo a pag. 419, ed entriamo con elegante, suadente erotismo, come in una pagina memorabile dell’Histoire de ma vie, autobiografia del mitico avventuriero veneziano di fama internazionale. “Ma… seguiamo Giacomo e la sua piccioncina di turno: «… Andammo a internarci nei labirinti di Villa Aldobrandini. Quali dolci ricordi hanno lasciato in me quei luoghi! Mi sembrava di veder la mia divina Lucrezia per la prima volta!… L’istinto ci guidava verso l’asilo più solitario…»”.

Grazie, Willy Pocino, per queste splendide dissolvenze incrociate tra vita e arte, storia e leggenda: realtà stessa della Poesia.

Plinio Perilli

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