I confini che l’immaginario delinea – tra le soglie complementari del “fantastico” e del “reale” – assomigliano a quelli, mobili e cangianti, mediante cui – sul bagnasciuga – si annoda l’interminabile dialogo che unisce terra e mare, spiaggia e onda, sabbia e schiuma. È un’apertura che chiude e, simultaneamente, una chiusura che apre: un ciclo intermittente di suoni e silenzi modulati che alterna le direttrici delle profondità, a guisa di cerniera, nella perenne metamorfosi dei mondi. Le visioni escono una dall’altra come scatole cinesi: ogni “scena” sfuma in quella che sta per arrivare. Allo stesso modo, l’artista esplora le dimensioni parallele del “multiverso” grazie a questo continuo debordare del sogno nella vita e della vita nel sogno. Ma la vita stessa è ombra di un sogno, e il sogno più grande – a ben vedere – è proprio quello della realtà cosiddetta “normale”.
R. Magritte, “La camera d’ascolto” (1958)
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